giovedì

Maputo. una città.




Una città. Maputo è una città. Nel senso che ci sono persone, cose, soldi, frutta, verdura, macchine, incroci, poveri, ricchi, giovani, vecchi, artisti, quadri, cinesi, birre, giardini, innamorati, artigiani, partiti, ministeri, direzioni generali, auto blu, taxi, autobus, operai della luce, università, case, toponomastica socialista, mercati. E' una città ma non è approssimabile a nulla che abbia mai visto prima. Anzi, meglio, i singoli componenti li riconosco, li riesco ad inquadrare ma, messi insieme, ne perdo il filo, la logica, la direzione. Fortunatamente ci sono Francesca e Nordino.

sabato

Un supplemento di anima e di rabbia

Le analisi politiche e politologiche sono strade maestre per comprendere i risultati delle tornate elettorali e per inquadrare in maniera costruttiva le sconfitte. Ma non sono tutto.
La razionalità politica del voto non è sempre deducibile e, nell’Era Berlusconiana, essa è veramente solo una delle categorie da interpellare per provare a formulare delle considerazioni. Io, difettando per competenza ed inclinazione, lascio fare questo lavoro delicatissimo ai tanti politologi che affollano gli editoriali e le prime pagine dei quotidiani.
Credo anche, però, che non tutto possa essere riassunto in un’analisi tecnica e, soprattutto, in un’analisi sterile dei dati non credo possa esserci la risposta ad una domanda ancora più profonda, intima, proiettata, in parte, sul piano esistenziale: “Perché ci sentiamo gli Sconfitti?”
Sconfitti con la “S” maiuscola. Pieni di tutta la retorica che c’è dietro la sconfitta. Sconfitti perché non compresi; sconfitti per idealismo; sconfitti per senso di responsabilità. I più critici diranno: “Sconfitti perché abbiamo governato male o, meglio, sconfitti perché non siamo riusciti a comunicare le cose buone fatte”. Il risultato è lo stesso: abbiamo perso. Non solo. Abbiamo subito modificato uno status in sostanza. La sconfitta per gli Altri è un periodo, un momento, il lato oscuro di una ruota che gira. Per noi è la nostra stessa sostanza.
Questo è il dato elettorale più deprimente!
Nello splendido film “I Cento Passi” Peppino dice chiaramente al suo mentore: “Nelle nostre sezioni l’unica cosa che s’impara è la sconfitta”. È vero, l’unica cosa che s’impara è la sconfitta nel senso che la si interiorizza e, di conseguenza, si percepisce la vittoria, l’essere maggioranza, l’avere piena cittadinanza nella società come un risultato neanche ipotizzabile.
Come facciamo ad attrarre se non ci sentiamo capaci di alcuna provocazione?
È giusto presentarsi come forza di governo, se ciò vuol dire essere il cambiamento che si vuol vedere nel mondo, e, far percepire, che si ha la forza per compierlo. Se invece tutto si traduce nella continua mediazione o nel pensare che la correttezza delle azioni di governo sia di per sé un’identità siamo destinati a divenire, ancor di più, il Partito dei Burocrati.
Basta analizzare la maniacale importanza che diamo ai riti e alle liturgie della politica avendone perso il significato e il senso.
È la forma che ci dà sostanza e, di conseguenza, non c’è nulla di più avvincente di una bella guerra sulle preferenze, un chiudersi ancor di più all’interno della cerchia degli Illuminati per spartirsi cosa? Una bella sconfitta.
Stiamo arrivando al paradosso che virtù dirigenziali siano la rassegnazione e il silenzio.
Scrolliamoci di dosso tutto questo. Iniziamo a riappropriarci delle cose basilari.
Iniziamo dalla Rabbia. La rabbia non come violenza, invettiva, cecità ed intolleranza.
La Rabbia come vita.
La Rabbia non è un urlo. Semmai un grido. Un grido di lotta per chi soffre, per chi sta rimanendo indietro in questa crisi economia, per i migranti, per chi potrà essere licenziato senza giusta causa, per le donne assunte con le dimissioni in bianco, per chi deve prostituirsi intellettualmente per un assegno di ricerca da fame, per le vittime dei raid razzisti della Roma di Alemanno, per il diritto dell’acqua di restare un diritto, per il diritto delle giovani generazioni di ricevere un’Istruzione completa, libera e pubblica.
In sintesi, torniamo a vivere l’esistenzialità della nostra scelta politica!
A questo punto, chi non ha più un supplemento di Anima e di Rabbia da donare a questo Partito e a questo Paese è meglio che si faccia da parte perché con la sola geometria della politica, del mestiere, delle preferenze sarà impossibile abbattere l’architettura Berlusconiana che è, in prima istanza, una narrazione emotiva dell’Italia.
Che le persone tornino a credere alla nostre parole guardando i nostri occhi, gli occhi della nostra Rabbia comune!

Una scelta di testimonianza

Di oggi la notizia che la Lega Nord ad Arezzo distribuisce ai mercati le saponette "anti-immigrato", consigliandone l'utilizzo dopo avere toccato un migrante.

E' inutile nascondere la preoccupante concatenazione di eventi su tutto il territorio nazionale.
Provo a dare una risposta diversa a questi eventi che sono dei generatori di odio puro.
Voglio provare con voi a disinnescare questa provocazione degradante da parte di questi beceri individui. Proviamo a volare alto e ad ascoltare parole di responsabilizzazione e di giustizia. Non meritano neanche il nostro livore. La Storia andrà in un'altra direzione e le nostre società saranno molto più belle e variopinte del verde acido delle loro bandiere. Il percorso sarà duro e difficile, ma sarà inevitabilmente vincente. Cito i bellissimi versi della canzone di due amici, cresciuti in anni in cui la Speranza era al centro della vita personale e pubblica: "Non servono dei muri se il vento soffia forte, va dove vuole e non le fermerai!"
Di seguito affido il resto dei miei pensieri ad un Maestro di Pace:

Lettera al "fratello marocchino"

Fratello marocchino. Perdonami se ti chiamo così, anche se col Marocco non hai nulla da spartire. Ma tu sai che qui da noi, verniciandolo di disprezzo, diamo il nome di marocchino a tutti gli infelici come te, che vanno in giro per le strade, coperti di stuoie e di tappeti, lanciando ogni tanto quel grido, non si sa bene se di richiamo o di sofferenza: tapis!
La gente non conosce nulla della tua terra. Poco le importa se sei della Somalia o dell'Eritrea, dell'Etiopia o di Capo Verde. A che serve? Il mondo ti è indifferente.
Dimmi marocchino. Ma sotto quella pelle scura hai un'anima pure tu? Quando rannicchiato nella tua macchina consumi un pasto veloce, qualche volta versi anche tu lacrime amare nella scodella? Conti anche tu i soldi la sera come facevano un tempo i nostri emigranti? E a fine mese mandi a casa pure tu i poveri risparmi, immaginandoti la gioia di chi li riceverà? E' viva tua madre? La sera dice anche lei le orazioni per il figlio lontano e invoca Allah, guardando i minareti del villaggio addormentato? Scrivi anche tu lettere d'amore? Dici anche tu alla tua donna che sei stanco, ma che un giorno tornerai e le costruirai un tukul tutto per lei, ai margini del deserto o a ridosso della brugheria?
Mio caro fratello, perdonaci. Anche a nome di tutti gli emigrati clandestini come te, che sono penetrati in Italia, con le astuzie della disperazione, e ora sopravvivono adattandosi ai lavori più umili. Sfruttati, sottopagati, ricattati, sono costretti al silenzio sotto la minaccia di improvvise denunce, che farebbero immediatamente scattare il "foglio di via" obbligatorio.
Perdonaci, fratello marocchino, se noi cristiani non ti diamo neppure l'ospitalità della soglia. Se nei giorni di festa, non ti abbiamo braccato per condurti a mensa con noi. Se a mezzogiorno ti abbiamo lasciato sulla piazza, deserta dopo la fiera, a mangiare in solitudine le olive nere della tua miseria.
Perdona soprattutto me che non ti ho fermato per chiederti come stai. Se leggi fedelmente il Corano. Se osservi scrupolosamente le norme di Maometto. Se hai bisogno di un luogo dove poter riassaporare, con i tuoi fratelli di fede e di sventura, i silenzi misteriosi della tua moschea. Perdonaci, fratello marocchino. Un giorno, quando nel cielo incontreremo il nostro Dio, questo infaticabile viandante sulle strade della terra, ci accorgeremo con sorpresa che egli ha... il colore della tua pelle.

Don Tonino Bello (Alessano 1935-Molfetta 1993)
Vescovo di Molfetta, Terlizzi, Ruvo e Giovinazzo.